CAMMINARE METTE IN RAPPORTO COL TERRITORIO

    La più significativa forma di arte rappresentativa e di costruzione di ogni singolo paesaggio individuale risiede infatti nella pratica del camminare, così semplice e così accessibile a tutti:strumento per attraversare il territorio e scoprirne valori spazi e simboli che sono la condizione base per costruire e ritrovare una sintassi territoriale, e finalmente così entrare in dialogo con essa,e con se stessi.
H. Hesse ci ricorda il valore del linguaggio che la natura - gli oggetti del territorio - hanno insiti in sè, e in “La Natura ci parla” scrive: “Tutto il visibile è espressione, tutta la natura è immagine, è linguaggio e scrittura geroglifica, con un suo colore. (…) Altri tempi, forse tutti i tempi, tutte le epoche che hanno preceduto la conquista della Terra da parte della tecnica e dell’industria, hanno avuto sensibilità e comprensione per il magico linguaggio cifrato della natura, e hanno saputo leggerlo in modo più semplice e più innocente di noi. Questa sensibilità non era affatto sentimentale, il rapporto sentimentale dell’uomo con la natura è piuttosto recente, anzi è sorto forse dalla nostra cattiva coscienza nei confronti della natura.”
Chi studia il paesaggio non può non cogliere come il rapporto fra uomo e territorio sia una intima storia fatta di paesaggi sensibili e paesaggi geografici, di luoghi sentiti e di luoghi misurati. Aldo Sestini nel suo introdurre il Volume del Touring Club, nel 1963, “Paesaggio” afferma:“La fase elementare del paesaggio è una veduta panoramica, ossia l’immagine da noi percepita di un tratto di superficie terrestre (…) di fronte a una visione panoramica il nostro sentimento non rimane mai assente o inerte: nei nostri viaggi ci soffermiamo in particolari punti dai quali si disvela un panorama più o meno ampio, non per analizzarlo freddamente, ma perché ne riceviamo un’impressione emotiva. (…) In una seconda fase il concetto di paesaggio si libera da quello di unaveduta determinata, diventa una sintesi di vedute reali o possibili.”
Esiste una dimensione materiale del territorio, delle cose che ci circondano, e questa dimensione possiamo solo immaginare di concepirla astrattamente, come esterna a noi. Ma così non è. “Il paesaggio infatti è carico di un senso che richiede una forma particolare di ascolto. L’Ascolto del paesaggio è tutt’uno con il complesso delle nostre sensazioni, non solo uditive ma anche visive,olfattive, tattili, è nella percezione complessiva che il paesaggio di rivela nella sua pienezza.” (C.Socco).
F. Careri nel suo saggio “Walkscapes – Camminare come pratica estetica” ricorda come: “Prima di innalzare il menhir, l’uomo possedeva una forma simbolica con cui trasformare il paesaggio. Questa forma era il camminare. E’ camminando che l’uomo ha cominciato a costruire il paesaggio  naturale che lo circondava.”
In particolare, proprio in questo saggio è raccolta l’attività ed una pratica che è divenuta un
manifesto culturale per il gruppo di Stalker1: un progetto articolato ed interessante, costruito anche su un lessico specifico, che proprio in “Walkscapes” Careri riporta, capace di costruire uno stimolante incrocio di modalità di intendere la pratica del camminare.
A questo tipo di approccio, che vuole riscoprire in particolare il valore delle aree di margine, degli spazi vuoti e di tutto quel territorio che è apparso divenire solo secondario ai “centri” alle “città formate”, la nostra attività si rivolge, per proporre momenti di nuovo incontro e di ritrovamento delle persone con gli spazi di un tempo. La società industriale e lo sviluppo degli ultimi 40 anni, che hanno avuto al centro dell’ideologia e dell’immaginario collettivo il lavoro e la crescita produttiva,
1 Per conoscere le attività e i progetti promossi da Stalker si rinvia ai siti internet: http://www.stalkerlab.it e
http://www.osservatorionomade.net
2 hanno in qualche misura generato quella che potremmo quasi definire una vera “piallatura” della nostra singola capacità individuale di percepire i nostri spazi vitali. Ai percorsi di un tempo, che collegavano nella società preindustriale il luogo dell’abitazione agli spazi rurali - ad ambienti a dimensione territoriale e con componenti ambientali - si sono infatti sostituiti ambiti urbani e di “cintura” e percorsi ristretti al tragitto casa-lavoro, casa-scuola. Anche le fughe domenicali e i momenti di ritrovamento di una propria dimensione al di fuori delle gabbie urbane, sono stati incanalati in percorsi autostradali, anch’essi massificati, o ridotti a fasi di attesa in lunghe code a caselli, dove alla densità degli appartamenti si è sostituita la densità degli abitacoli delle auto dei“gitanti domenicali” incolonnati per rientrare negli agglomerati urbani.
Nel cammino è insita quindi anche la possibilità di scoprire spazi di vita e condizioni che
permettono di superare quel senso di mancata appartenenza al territorio, che rappresenta una condizione di alienazione particolarmente sentita nel vivere contemporaneo. Richiamiamo le parole di I.Calvino a questo proposito quando nelle sue “Città invisibili” racchiude nelle famose ultime righe quel senso altalenante di continua ricerca di equilibrio fra l’immagine della città utopia e quella della città infernale: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare esaper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”

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